A qualche ora dalle gravi scosse che nella notte hanno colpito il Reatino, monta la paura per un eventuale sciame sismico con conseguenze anche in altre zone d’Italia.
Purtroppo, secondo quanto dichiarato dal Capo del dipartimento di Protezione Civile Fabrizio Curcio, si tratta ti timori più che fondati.
Il terremoto di oggi nell’Italia centrale – ha commentato al proposito Curcio – è paragonabile, per intensità, a quello dell’Aquila.
Nonostante il bilancio in termini di danni e feriti sia inferiore, non è escluso dunque che nuove scosse possano tornare a far tremare il centro Italia.
Un terremoto di magnitudo 6.0 – ha aggiunto l’esperto Andrea Tertulliani, sismologo dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia – si porta dietro una coda di repliche sismiche sicuramente numerose però non si può escludere che ci possano essere scosse paragonabili a quella principale. Stiamo parlando di un’area ad altissimo rischio. Ogni sequenza ha un suo comportamento particolare però non possiamo escludere che finisca qui oppure che continui in altro modo.
Nel 1639 un sisma gemello interessò le stesse zone inoltre moltissime sono le analogie con il terremoto de L’Aquila. La fascia appenninica che va dall’Umbria, Marche meridionali e Abruzzo, del resto, è sede di una sismicità frequente e spesso molto forte. Secondo gli esperti, alla base del sisma ci sarebbe il cosiddetto “stiramento” dell’Appennino, ossia il processo di estensione da Est a Ovest cella catena montuosa.
Un meccanismo tale da originare un terremoto di magnitudo 6, ovvero quello che ha colpito Rieti alle 3:36 di oggi e che ha finora provocato oltre 40 scosse in una zona di circa 30 chilometri compresa fra Lazio, Marche e Umbria. Questo, almeno, quanto indicato dalle prime analisi condotte dai sismologi dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia.
Il tipo di movimento osservato dai dati sismici – ha precisato il sismologo Alessandro Amato, dell’Ingv – indica una faglia estensionale, simile a quella all’origine dei terremoti più recenti e vicini, ossia quello de L’Aquila del 2006 e quello di Colfiorito del 1997. Anche quei terremoti – ha aggiunto – erano stati superficiali, avvenuti come questo alla profondità compresa fra 8 e 10 chilometri, cosa che spiega i forti scuotimenti.